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Londra, 1844. Un giovane commerciante di tessuti, George Williams, fonda la YMCA: Young Men’s Christian Association.
L’idea è semplice: offrire ai giovani operai inurbati un rifugio morale a basso costo,
lontano dalla prostituzione, dall’alcol, dal caos industriale.
Uno spazio dove leggere la Bibbia, fare sport, ascoltare musica “educata”.
L’obiettivo era tutto nel suo slogan, che ancora oggi recita: “Developing body, mind and spirit.”
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In pochi anni l’idea si diffonde in tutta l'Inghilterra e poi nel mondo, nel 1851: apre la prima YMCA degli Stati Uniti a Boston, a fine secolo è presente in oltre 40 paesi. Nel 1891 un istruttore della YMCA del Massachusetts inventa il basketball, anche pallavolo e football americano si sono sviluppano all'interno dei suoi ambienti.
Ma di sport americano abbiamo già parlato in una precedente puntata di AmericanA FLAVOURS, a partire dal Super Bowl.
Quella che ti racconto oggi è un’altra storia.
Nel 1904, la YMCA arriva a New York, sulla 23rd Street, nel quartiere di Chelsea.
Nasce il McBurney YMCA.
Un edificio moderno, con palestra, piscina e camere per soli uomini.
Non un albergo quindi, ma un posto dove dormire bene, sudare, rinsavire.
Una bolla cristiana nel cuore della città.
Negli anni, però, succede qualcosa.
Quell’ambiente maschile, discreto e regolato diventa, senza dichiararlo, un rifugio sicuro anche per uomini gay.
Negli anni ’60 e ’70, la YMCA è uno dei pochi posti in cui si può essere soli senza doversi spiegare.
In palestra, in piscina, nelle camere.
L’artista Andy Warhol, il drammaturgo Tennessee Williams, e centinaia di altri uomini passano di lì.
Non è ufficiale, ma è evidente.
Talmente evidente che nel 1978, esce “Y.M.C.A.” dei Village People.
Un pezzo disco scritto da Jacques Morali e Victor Willis, unico singolo del disco Cruisin’ e ispirato proprio a quel Young Men’s Christian Association che, in codice, diceva molto di più.
Nel video, i membri della band indossano uniformi iconiche: il poliziotto, l’operaio, il militare, il nativo americano, il motociclista in pelle, il cow-boy.
Non è un caso.
Sono i simboli virili della cultura americana ufficiale, rivisitati attraverso la lente dell’estetica gay di quegli anni, è la fantasia da club queer, portata in prima serata TV.
E’ la controcultura che si fa POP e in fondo Andy Warhol aveva già intuito tutto: sulla 23esima strada, tra Chelsea Hotel e YMCA, uno di fronte all’altro, aveva catturato il lato più spettacolare d’America.
Aveva trasformato l'energia ribelle, la creatività, il bisogno di visibilità della controcultura americana in icone, in arte da appendere beffarda nei salotti borghesi.
Ma di Chelsea Hotel, Andy Warhol e la sua Factory ti ho già parlato nelle due precendenti puntate del podcast in cui ti ho raccontato la nascita della musica punk.
Ma ti avevo anche detto che negli anni ’70, e sempre a NY, nascevano più generi musicali, che si ignoravano a vicenda, tra cui l’hip-pop e appunto la disco music.
Si ignoravano anche su un piano puramente estetico: alle maschere ipercolorate dei Village People si contrapponeva una New York diversa da tutte le altre città, e soprattutto dalla West Coast hippie, piena di fiori, tuniche colorate e sorrisi psichedelici.
Nella New York punk degli anni '70, ci si vestiva quasi solo di nero.
Lo stile era quello essenziale, cupo, urbano dei Velvet Underground: abiti in pelle, occhiali scuri, giacche dritte.
In California si ballava scalzi nei campi, a Manhattan si camminava veloci tra pozzanghere di cemento e luci al neon, protetti da uno stile che era più corazza che ornamento, un outfit che sembrava voler dire "non mi avrai mai".
E nella serie tv Vinyl, che ci sta accompagnando alla scoperta di questa NY, una sottotrama racconta proprio la nascita della disco, con il successo della canzone prodotta per la serie, Kill the lights, della band fittizia Indigo. Canzone talmente ben fatta da darti la sensazione di conoscerla da sempre.
La disco music nasce come evoluzione del soul, del funk e della dance e comincia a diffondersi come genere musicale intorno al 1973. Le sue radici affondano però già alla fine degli anni '60, nei party underground della comunità afroamericana, latinoamericana e LGBTQ+, nei loft o nei locali alternativi che offrivano uno spazio libero dalle discriminazioni razziali e sessuali.
Il termine "disco" deriva da discothèque, parola francese per indicare i club dove si ballava con i dischi. Uno dei primi brani riconosciuti come disco è "Love's Theme"dei Love Unlimited Orchestra (1973), ma è con pezzi come "Rock Your Baby" di George McCrae (1974), "Never Can Say Goodbye" di Gloria Gaynor (1974) e "The Hustle" di Van McCoy (1975) che il genere comincia a esplodere.
La disco raggiunge l’apice del successo alla fine degli anni ‘70, con film cult come Saturday Night Fever (1977) e artisti come Donna Summer, Bee Gees, Chic e molti altri.
Poi, a partire dagli anni '80, la disco subisce un contraccolpo culturale, viene rigettata da una società sempre più conservatrice, spaventata dalla libertà sessuale e dalla cultura underground da cui era nata.
La disco, musica dei neri, dei latini, dei gay, diventa il bersaglio di una reazione razzista e omofoba, proprio mentre l’America si ripiega su valori tradizionali con l'era Reagan e l'epidemia di AIDS diffonde paura e stigma.
Il movimento "Disco Sucks" (celebre il "Disco Demolition Night" del 1979 a Chicago) non fu solo una protesta musicale: aveva fortissime componenti omofobe, razziste e classiste.
Quello spirito libero e notturno che aveva acceso i club si spegne lentamente, lasciando spazio a nuovi suoni e a una nuova idea di normalità.
E proprio in questo clima si colloca nel 1980 il film Cruising di William Friedkin, quasi omonimo dell’album dei Village People. Con un Al Pacino 40enne, che racconta la scena leather e sadomaso gay di New York, non più come un'esplosione di libertà, ma come un mondo oscuro, violento, minaccioso.
Cruising mostra quella stessa città che aveva fatto ballare YMCA e la trasforma in un labirinto di club fumosi, di corpi anonimi, di paura.
Non è un caso: Friedkin aveva girato il film nei veri locali della scena underground, ma il suo sguardo, figlio dei tempi, non è quello della celebrazione.
È uno sguardo inquieto, ambiguo, dove la sessualità si confonde con il pericolo.
Come se, d'un tratto, si fossero davvero spente le luci.
Come se, davvero, qualcuno avesse gridato: Kill the Lights.
Friedkin aveva già girato “Il braccio violento della legge” e “L’esorcista” Al Pacino aveva già recitato in“Serpico”e “Il padrino”
Sull’Huffington Post Galanti racconta che ad attrarre l’attenzione di Friedkin erano stati degli articoli del “Village Voice”, settimanale della controcultura newyorchese, in cui si raccontava di strane morti nella comunità gay del West Village e nel Meatpacking District, quartiere dei locali sadomaso.
E poi in prima pagina sul “New York Daily News” Friedkin legge che un certo Paul Bateson è stato arrestato per l’omicidio cruento di persone omosessuali. Lo riconosce, è l’infermiere che aveva preparato la protagonista de “L’esorcista” per la scena dell’arteriogramma. Il regista lo incontra in carcere, decide di fare il film.
Va a visitare i locali in cui girarlo: il Ramrod, il Mineshaft, e l’Eagle’s Nest: vestito solo di mutande, scarpe e calzini. Prima di iniziare a girare “Village Voice” avverte: “Cruising cancellerà conquiste fatte dal movimento e costringerà i gay a nascondersi”. Iniziano ad arrivare minacce di morte. Al Pacino prima litiga con l’acconciatura, poi arriva sempre in ritardo alle riprese e non impara le battute. E’ svogliato, incupito.
Nel Village attivisti urlano e lanciano oggetti contro la troupe.
Il film viene massacrato dalla censura, rischia la X di film pornografico. Alla fine ottiene la R di vietato ai minori non accompagnati. Al Pacino vede il montaggio, chiede decine di modifiche, non gli vengono concesse. Diserta tutti gli eventi promozionali, non parlerà mai più del film. Il film è un fiasco. Per Friedkin e Al Pacino cominciano tempi bui.
Resta il film, Cruising, oggi rivalutato anche dai suoi detrattori.
Ma torniamo alla nostra YMCA, per parlare della prima cosa che ci viene in mente sentendo questo nome: il balletto.
Le braccia che fanno Y – M – C – A, così celebri da arrivare anche nella più sperduta provincia italiana, insegnato da madri probabilmente inconsapevoli a bimbe e bimbi degli anni ‘80 e non solo.
E però non furono i Village People a inventarlo. Nel videoclip ufficiale della canzone, non c’è.
Fu il pubblico, durante un’esibizione al American Bandstand, a cominciare a mimare le lettere.
I Village People lo notarono… e lo adottarono.
L’American Bandstand era uno dei programmi televisivi musicali più famosi della storia americana, è andato in onda dal 1952 al 1989, e ha avuto un impatto enorme sulla cultura pop americana. Nel programma folle di adolescenti ballavano musica pop e rock del momento, con esibizioni dal vivo degli artisti più famosi.
Da lì, nacque uno dei balli più imitati del pop anni ‘70.
Fatto di mosse semplici, innocenti, ma anche ambigue.
All’inizio, la Young Men’s Christian Association pensò di denunciare il gruppo per uso improprio del nome.
Poi si rese conto che nessuno stava facendo loro pubblicità migliore.
E oggi quel pezzo è parte del DNA del brand, anche se nessuna brochure lo cita esplicitamente.
E in fondo quanti, specialmente non madrelingua, fanno caso alle parole del testo?
Ragazzo, non c’è bisogno di sentirsi giù, rialzati da terra, sei in una nuova città,
non c’è motivo di essere triste. C’è un posto dove puoi andare, quando sei senza soldi puoi restare lì e sono sicuro che troverai tanti modi per divertirti, è divertente stare all’YMCA. Hanno tutto per far divertire voi uomini, puoi uscire con tutti i ragazzi, puoi ripulirti, puoi avere un buon pasto, puoi fare quello che ti senti. Ragazzo mi stai ascoltando? Cosa vuoi essere? Puoi realizzare i tuoi sogni, ma devi sapere che nessun uomo fa tutto da solo, metti l'orgoglio da parte e vai lì, all’YMCA, sono sicuro che possono aiutarti. Ragazzo una volta ero nei tuoi panni, ero giù, depresso, sentivo che a nessuno importava se fossi vivo, che il mondo intero era così stretto. È stato allora che qualcuno è venuto da me e mi disse ragazzo vai in cima alla strada, c’è un posto lì chiamato YMCA, possono farti ripartire.
Nel 2002, il vecchio McBurney YMCA, quello al 213 West di 23rd Street, chiude.
L’edificio viene trasformato in una palestra commerciale.
La YMCA si sposta al 125 West di 14th Street e abbandona per sempre il ruolo di ostello.
Oggi, la YMCA è un’altra cosa: presente in oltre 120 paesi serve milioni di persone ogni anno, senza più un'impostazione religiosa forte come all'origine: centri culturali, programmi sociali, supporto alle famiglie, accoglienza LGBTQ+, inclusione e promozione del benessere per tutti.
Ma sotto tutto questo, resta la memoria di un tempo in cui quattro lettere potevano voler dire letto, palestra, anonimato… e appartenenza.
E potrei finirla qui. Sarebbe il finale perfetto. E invece no. Questa non è una storia del tutto a lieto fine.
Perchè sul significato di YMCA, proprio i Village People sembrano oggi essere in disaccordo.
La questione è riesplosa di recente, quando Victor Willis, voce della band e autore del testo, quello vestito da poliziotto, ha preso posizione sui social per smentire quella che considera una falsa interpretazione.
Secondo Willis, l’idea che Y.M.C.A. sia un inno gay sarebbe nata solo perché Jacques Morali coautore della canzone era apertamente omosessuale, e perché alcuni dei membri originali del gruppo appartenevano alla comunità LGBTQ+.
Willis dice:
“La canzone parla semplicemente di un posto dove divertirsi, stare insieme, e ripartire. Non è stata pensata come un inno gay, e chi lo sostiene danneggia il valore della canzone.”
Gli ha ribattuto David Hodo, storico interprete del "muratore" dei Village People, che ha replicato pubblicamente ricordando come Y.M.C.A. sia nata proprio dal mondo gay newyorkese degli anni '70.
Hodo ha rivendicato il ruolo di Jacques Morali nella creazione del ritornello e della musica, ispirata proprio da una visita alla YMCA dove lavoravano diverse star del porno gay dell'epoca.
La risposta di Willis non si è fatta attendere: sui social ha accusato Hodo di non essere un membro fondatore della band e di sfruttare una storia non sua, ricordando che il primo muratore dei Village People era Mark Mussler, scomparso nel 1987.
Insomma a quasi cinquant’anni dall'uscita, Y.M.C.A. resta ancora oggi un simbolo aperto, impossibile da incasellare.
Anche sul piano politico Y.M.C.A. ha continuato a vivere vite impreviste.
Nel 2020, e poi di nuovo nel 2024, è stata utilizzata più volte da Donald Trump nei suoi comizi elettorali, scatenando polemiche.
All'inizio Willis si era detto contrario a questo uso pubblico della canzone, ma poi ha cambiato posizione: quella visibilità aveva contribuito a riportare Y.M.C.A. ai vertici delle classifiche.
Senza mai schierarsi apertamente sul piano politico, Willis ha accettato che il brano venisse suonato anche durante la seconda cerimonia di insediamento di Trump nel 2025.
Ed ecco il paradosso: Y.M.C.A. oggi è stata adottata da pubblici opposti: dalle parate del Pride alle convention repubblicane, dalle discoteche queer ai palchi della politica conservatrice.
Un’ulteriore prova che la forza di certe icone è proprio quella di sfuggire a ogni definizione.
Diventare di tutti, senza più appartenere a nessuno.
Grazie per avermi letta fin qui.
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